<i>Severus Snape</i> <b>Pensieri mortali...</b>

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_madame J._
view post Posted on 9/7/2012, 16:47




volevo precisare che questa ff è stata già postata su efp fanfiction www.efpfanfic.net/user.php.
DESCLAMER:
QUESTI PERSONAGGI NON MI APPARTENGONO E NON SONO REALI!
Per il resto buona lettura.
P.s.: se trovate degli errori di ortografia riferitemeli per favore così potrò correggerli...io questa l'ho letta talmente tante volte che ora la so a memoria e non la leggo davvero.

Closed Door



Sbam.
Il rumore, proveniente dai sotterranei, di una porta sbattuta contro il muro riecheggia per tutte le scale che portano ai verso l’alto; dei passi forti e decisi attraversavano la porta, era Snape Severus che entrava furibondo nelle sue stanze.
Era stata una giornata dura, più del solito, che nelle sue condizioni attuali, la diceva lunga.
Harry, tutti a crederlo un salvatore, un messaggero divino, un eroe, ma lui era l’unico a vederlo per quello che era, uno schifoso e lurido bugiardo imbroglione.
Nonostante come odio era secondo solo allo stesso Voldemort, il Professor Snape lo proteggeva sin da quando aveva fatto quella promessa, che lo aveva legato a quell’odioso figlio di James Potter e ora dopo sei anni da quando aveva sbarcato le porte di Hogwarts continuava a vegliare su di lui nell’ombra e a odiarlo sempre di più.
A volte, quando ci pensa, arriva al punto di credere che mai quest’avversione per l’erede Potter potrebbe svanire.
Quel verme schifoso e compiaciuto, sembrava fatto apposta per farlo infuriare con i suoi complicati, dispettosi e a volte, come rivelatosi, pericolosi comportamenti.
Questa volta però aveva esagerato, è stato davvero fortunato che nei paraggi dei bagni, dove lui e Malfoy stavano disputando un acceso combattimento magico, ci fosse proprio lui, altrimenti a quest’ ora il peso della vita del giovane mago colpito con l’incantesimo gettato dalla bacchetta di Potter ma creato dallo stesso professore, sarebbe rimasto in groppo a Harry per tutta la vita, mandando a puttane i piani di Dumbledore, che tanto aveva ben programmato.
A quel pensiero però bloccò il passo veloce verso la camera designata e rimase fermo sul posto.
E se fosse lui l’artefice di quello che era avvenuto non poche ore fa?
E se fosse tutta colpa sua?
Infondo era stato lui a inventare il Sectumsempra, era stato lui, negli anni ad aumentare in parte la rivalità già nata per colpa delle case rivali, tra i due maghi ancora minorenni.
Il sangue gli si gelò nelle vene, che avesse sbagliato tutto questo tempo?
Che non avesse adempito il suo compito in modo corretto e preciso?
L’immagine era di un uomo oramai al quasi compimento della sua missione, pieno di sensi di colpa e dubbi, trafitto dal passare del tempo da lame invisibili, fermo al centro di un breve corridoio, non avrebbe sopportato il fallimento, non davanti ad una promessa fatta per la sua amata Lily.
Un sospiro lento e frammentato usci dalla bocca semi aperta di Snape, un soffio sempre pieno di amarezza e nostalgia, che non faceva altro che aumentare in lui la paura per la difficile missione che lo aspettava.
Nessuno in quella stupida scuola si aspettava del rammarico, senso di responsabilità o co tanta colpa in quell’uomo che tutti detestavano e tra non poco tempo si sarebbe trasformato in disprezzo, intolleranza e risentimento.
Mentre le labbra e le palpebre tremolavano per il troppo pensare ai se, il corpo diventava sempre più pesante sotto quell’immobilità involontaria, sino a che un quasi cedimento delle gambe non lo riportò alla realtà.
Era inutile pensare a ciò che era accaduto ma soltanto a quello che poteva fare perché tutto andasse per il meglio, per il bene comune.
La stanchezza lo portava verso la poltrona davanti al camino ancora spento, ma che con una piccola magia si rianimò, ma la sua ragione lo fece andare nella direzione del bagno, dove aspettando che l’acqua riempia la vasca, si sistemo davanti allo specchio a scrutare quel volto pallido e invecchiato che sembrava non riconoscere.
Lo specchio era un vero pezzo di antiquariato, un metro per cinquanta centimetri con una cornice di argento spessa e larga ricoperta da disegni, ghirigori, una fantasia mozzafiato.
Anche se lui lo odiava; gli specchi potevano essere infidi perché alcune volte mostravano la realtà delle cose, erano ingannatori, ti scrutavano malignamente come fanno tutti gli altri, solo che gli occhi inquisitori che ti guardano sono i tuoi.
Trentasette anni, era questa la sua età effettiva, che ovviamente pochi conoscevano, eppure, l’immagine che i suoi occhi neri, infossati e stanchi vedevano era quella di un uomo molto più vecchio.
Le rughe scavavano il viso profondamente e mentre guardava quell’immagine di se con disprezzo, la mano destra si poso davanti al volto, non quello riflesso, ma quello originale.
Con il dito anulare e medio sfiorò i solchi vicino agli occhi, le occhiaie scure e bluastre ereditate dalla madre e le oramai visibili borse dovute alle ore di sonno mancate.
Freddo, fermo, distaccato, crudo, inquietante, ecco come molti in quella scuola avrebbero descritto il suo sguardo.
Lui no, per qualche strana ragione ciò che vedeva lui non corrispondeva mai a quello che vedevano tutti gli altri, un po’ come fa Albus con le persone, il che lo porta a fidarsi di chiunque, solo che nel caso di Severus il giudizio era contrario.
Lui vedeva solo vuoto, disgusto, pietà, occhi giudicatori lo fissavano e avrebbe voluto spaccare la faccia a quell’uomo.
Il naso adunco posto al centro del viso che ovviamente monopolizzava malignamente l’attenzione e infine le labbra scure, secche ma con gli angoli portati verso l’alto, portava con sé sempre quel maledetto ghigno.
Non era un uomo che amava specchiarsi, non aveva niente di particolare, infatti, erano rari i momenti, come questo, che passava davanti allo specchio, dando a esso il naturale compito di riflettere l’immagine.
Capendo che la vasca era quasi piena iniziò a togliersi le vesti, sempre neri, di dosso, facendo scorgere un fisico non più magro come quando era un giovane alunno di Howard.
Il tempo, però lo aveva donato qualcosa di meglio, spalle larghe, vita stretta e una muscolature per niente male e mentre i ricordi di uno sbarazzino Snape echeggiavano nella mente del Professore, si accinse a prendere la vestaglia pronta per quando avrebbe finito.
Prima con le punte delle dita di una mano, sfiorò l’acqua per percepire la temperatura, che al confronto di quella della sua pelle faceva si che le punte delle dita pungessero.
Fatto ciò decise di immergersi piano, per assaporare ogni momento sublime dovuto al contatto con la calura dell’acqua.
La vasca era bianca di porcellana si caratterizza per la linea elegante dal sapore retrò, con il bordo anteriore rialzato che rispolvera il classico stile britannico, era lunga 180 centimetri, larga 80 e profonda 50, fatta su misura.
Era una bella vasca con un rubinetto, attaccato al pavimento, direttamente ai tubi dell’acqua, in platino con due serpenti in oro nero che giravano in torno che trasformavano nelle manopole dell’acqua calda e fredda, i piedi erano in ghisa nera e raffiguravano dei draghi che sembravano sorreggere la vasca.
Iniziò con la gamba sinistra e poi con quella destra lentamente e quando l’acqua cominciò a toccare l’addome, un brivido percorse l’uomo che, trattenendosi con entrambe le mani avvinghiate sui lati della vasca, scendeva con calma, per superare la zona dello stomaco fino a che il liquido caldo non bagnò il torace.
Il tepore lo avvolse, come il calore di trovarsi tra le braccia di una persona cara, lo stesso effetto ebbe l’immersione in quelle acque cocenti, tentando di colmare il niente in mezzo al petto.
Come aveva già immaginato in precedenza, la quantità di acqua fatta scorrere in precedenza era troppa, fatto sta che appena sprofondò interamente in acqua, molta di quest’ultima trabocco cadendo sulle piastrelle blu aviazione.
Non se ne preoccupò, al centro della stanza vicino alla vasca si trovava una piccola grata, il cui foro portava, dopo varie peripezie, alle fogne, in modo che l’acqua scivolasse via senza affanni.
Era il suo speciale momento di rilassarsi, non voleva sentire niente e vedere nessuno.
Dopo pochi istanti un piccolo sorriso stava sbocciando sul viso, al posto del solito ghigno cui erano abituati i suoi studenti.
Le braccia si rilassarono cadendo delicatamente ai lati della vasca con le mani penzolanti.
La testa, oramai troppo pesante per i muscoli del collo, cadde all’indietro e insieme con essa tutto il corpo fu preso da un senso di mancamento.
Il calore che rinvigoriva le ossa e le articolazioni, i muscoli antecedentemente tesi come corde di violini erano oramai distesi.
Un mix di profumi entrava nelle narici; gli oli essenziali di eucalipto, di ginepro, di lavanda e di canfora facevano effetto subito scemando i nervi e le tensioni.
Quando credeva che niente potesse disturbarlo ecco ritornare a tormentarlo la preoccupazione, e pensare che era bravo a liberare la mente contro i nemici.
Il sorriso timido di pochi secondi fa sparì com’era venuto, lasciando un grande senso di vuoto e solitudine tentando di divorare il niente dentro di lui.
La sua mente infida e nemica non faceva altro che ricordargli la fatica, la responsabilità e la rabbia mista a rancore e frustrazione.
Vorrebbe allentare la pressione, come con un palloncino, aprendo la valvola giusta, vorrebbe piangere.
Ma dopo tanto tempo non sapeva nemmeno come si facesse.
L’unica cosa che il tempo gli avesse insegnato di buono era nascondere, a se stesso, ai propri studenti, ai colleghi a tutti.
Non poteva dire con certezza di avere un amico o qualcuno che gli somigliasse vagamente, ma la sensazione se la ricorda, l’affetto, l’amore.
Una piccola ma forte traccia di qualcosa di grande, una reminiscenza tutta sua, senza avere il bisogno di condividerla, Lily era stata il suo unico amore.
Che triste e pensare che le uniche persone con cui interagisce, oltre ai mangiamorte, sono proprio gli studenti, quelle teste di legno.
Li detestava tutti, quell’ultimo anno anche Draco era diventato insopportabile con quella sua arroganza da novellino.
D'altronde aveva un compito e non poteva lasciarsi andare all’orgoglio.
Infatti, capiva, no più che altro provava empatia perché sapeva ciò che lo attendeva diventando come suo padre, un mangiamorte.
Stava buttando al rogo tutto, il suo futuro e la sua sanità mentale, e ovviamente chi doveva occuparsene? Lui.
La pressione dei familiari e della compagnia lo avrebbe portato su una cattiva strada, la peggiore di tutte, ma il piano che aveva progettato per lui il Signore Oscuro era troppo.
Non lo avrebbe permesso.
Pensandoci lui e Potter erano gli studenti più difficili, nonostante appartenessero a case differenti, erano molto più simili di quello che pensavano, teste calde, portatori di sventura e di errori che avrebbero portato nella tomba.
Dumbledore, l‘uomo gentile, benevolo, altruista; non faceva altro che preoccuparsi per i suoi studenti, ma nonostante questo aveva in serbo per ognuno di loro un piano preciso e ben congeniato.
Lui doveva occuparsi che tutto il meccanismo fosse oleato a dovere, era lui che lavorava fisicamente e mentalmente per mantenere tutto un segreto, era lui che rischiava la vita per far sì che lo schema andasse come previsto.
E nel frattempo faceva il fesso di turno, più che altro lo era stato per tutta la vita.
Dumbledore.
Si era dimenticato che nonostante tutto anche lui col tempo aveva cercato di essergli amico, fingere di esserlo, ma almeno gli ha dato qualcuno con cui parlare, una persona acuta e sensibile con cui confidarsi nei momenti più difficili.
Da qualche tempo i periodi difficili si susseguivano come formiche, non c’era mai un attimo di pace per soffermasi ad ammirare la vita, sembrava sfuggirgli via giorno dopo giorno, se mai dovesse morire adesso, di non certo non mancherebbe.
Gli occhi diventarono pesanti, i pensieri lo avevano portato in uno stato di trans, neanche il passare del tempo poteva fermarli.
Desiderava dormire e lasciare agli altri i compiti e guardare come se la cavavano, smettere di soffrire, ma soprattutto voleva smaterializzare l’uomo riflesso che continuava a fissarlo.
L’acqua era bonaria ma un piccolo movimento rimbombò storcendo la bocca dell’uomo in un ghigno beffardo.
Severus preso da improvvisa rabbia tentò di vanificare la figura muovendo le braccia a destra e a manca.
A nulla fu utile perché dopo qualche minuto quella stessa effigie tornò a tormentarlo con lo sguardo triste, fisso e distaccato dalla realtà.
Più lo guardava più si accorgeva che quell’uomo era molto simile a lui.
Aveva gli stessi capelli lisci e neri, la medesima cute bianca e glabra, le stesse ruche, lo stesso naso, gli stessi occhi e molto probabilmente provavano le stesse cose.
Cose che non potevano di certo esser definiti sentimenti.
Dopo un’indefinibile quantità di tempo Severus capì che erano troppo simili per non stare insieme, anche se molto probabilmente l’altro sarebbe sopravvissuto anche da solo, Snape pativa la solitudine e aveva la necessità di possederlo.
Credeva che se si fosse impregnato di quell’identità, la sensazione di vuoto sarebbe almeno sparita o attenuata, anche se non fosse riuscito a riempirla se non altro, sarebbe stato meglio.
E così come se niente fosse Severus, iniziò un lento tragitto verso il basso.
Tutta la caduta andava a rallentatore e mentre scivolava con il sordo suono della pelle bianca e liscia strofinata contro la parete in ghisa della vasca, alcuni ricordi correvano via.
La testa pesante cadde all’indietro e uno sguardo rilassato apparve sul volto invecchiato, come in estasi.
Quando sembrava che non potesse più tornare indietro diede un ultimo sguardo all’acqua, ma non c’era più un’immagine fissa.
La figura cambiava in continuazione, era diventata mutevole e per qualche millesimo di secondo il suo occhio parve scorgere un sorriso felice da quel volto bianco e stanco come il suo, un buon augurio per il viaggio che stava per intraprendere.
E così le due figure, una nitida vera concreta e l’altra distaccata instabile fittizia, si avvicinavano per unirsi in un corpo unico.
Prima il peto, le spalle, le clavicole, il collo, il mento, il naso rimase per ultimo per esalare l’ultimo respiro e poi immergersi.
Ecco, l’immagine che veniva fuori era quella di Severus immerso interamente sotto l’acqua limpida in attesa che accadesse qualcosa.
In secondi passavano e lui aspettava, anche il fiato iniziava a mancargli, continuava ad attendere un cambiamento.
Quando sentì che l’aria gli mancava, l’esitazione si fece strada nella sua mente, e la missione che doveva compiere per mano di Dumbledore ritornava a fargli visita.
Uccidere Albus, aiutare Potter a sconfiggere Voldemort, vivere.
Sopravvivere.
A quella parola Severus riaprì gli occhi e un secondo dopo con tutta la forza che trovò addosso, si rialzò ansimante e spaventato.
Non riusciva a credere a quello che la sua mente lo aveva portato a fare, che cosa lo aveva spinto a farlo, la ragione o il cuore?
Suicidio uno dei modi più indegni di morire.
La voglia di piangere ritornò forte e anche se tentava tutti i modi per tornare a respirare, un peso sul cuore non permetteva ai polmoni di adempiere il loro naturale compito.
Paura, ma di cosa di morire?
No.
Se la paura della morte è quel più GRANDE, allora quel più FORTE è quella che ti conduce ad essa … gli parve di aver detto una volta una frase del genere.
Guardandosi le mani si accorse che la pelle era raggrinzita, era stato per troppo tempo nella vasca.
Quando fu oramai asciutto e vestito, si distese sulla poltrona al lato del camino ma con il viso puntato ad esso.
La sensazione di tensione e mancamento che lo aveva preceduto durante il bagno, era oramai sparita.
Gli errori più prossimi dovevano oramai essere repressi, anche se sapeva perfettamente che sarebbero rimasti lì a ricordargli quanto il suo animo fosse debole.
Quando pensieri di miseria riecheggiavano nella mente del professore rimbalzando da un ricordo all’altro, da un dovere a un dolore passato un piccolo suono lontano, lo riportò alla realtà.
E mentre il suono diventava più acuto e forte, più il senno si riuniva al corpo.
“Avanti” una voce dal temperamento freddo ma dal tono caldo, rauco e solenne una sola parola uscì dalle labbra appena aperte di Severus.
Con irritante segnalazione la porta si aprì lasciando entrare l’uomo che di certo non era sconosciuto al professore.
Senza mai staccare gli occhi dal fuoco, Severus fece cenno all’uomo di venire avanti o forse semplicemente di segnare la usa presenza nella stanza, anche se era certo che il signore entrato non aveva bisogno né dell’una né dell’altro.
“Preferirei essere accolto con un’altro spirito Severus” disse l’uomo con una voce inconfondibile che fece sorridere d’ironia il mago dalle vesti nere.
Come poteva chiedere a lui di essere felice in sua presenza, quando sapeva perfettamente che essa significava l’arrivo di ulteriori rogne.
Il secondo uomo si avvicinò al fuoco facendo rischiarare la sua barba bianca lattiginosa e il vestito argenteo e nero, i suoi occhi azzurro ghiaccio concentrato trasmettevano calore più della stessa fiamma.
L sua presenza era l’arrivo di notizie nuove e malvolute, il momento delle ”inaspettate” richieste impossibili e insofferenti.
Nonostante quei pensieri il sorriso appena accennato rimase sul volto notevolmente più rilassato, Albus aveva sempre detto che sorridere gli ha sempre tolto almeno dieci anni; chi sa cosa pensan adesso che mi guarda intensamente, anche se ho gli occhi chiusi sento il suo sguardo su di me.
Questa sensazione piacevole ma ingombrante, molto desiderata ma con la voglia che duri poco, lo fece arrossire leggermente.
“Hai bisogno di qualcosa, Albus”, disse suo mal grado Severus


Edited by _madame J._ - 22/7/2012, 11:56
 
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